Girl power

Le donne ribelli che hanno fatto la storia della musica.

L’omaggio di Music Storm al genere femminile in occasione dell’8 marzo e dello sciopero globale delle donne.

Oggi, 8 marzo, le donne di tutto il mondo incrociano le braccia astenendosi da ogni forma di attività lavorativa e di accudimento per protestare conto i pregiudizi sessisti, la violenza e la sopraffazione di genere. Al grido di “Non una di meno!” anche noi, donne e uomini di Music Storm, vogliamo dare il nostro contributo per una causa sacrosanta e talmente giusta da sembrare perfino ovvia. E vogliamo farlo ricordandovi le vite e le voci di alcune donne eccezionali che hanno lasciato un segno indelebile nella storia della musica mondiale.

JANIS JOPLIN (1943-1970)- La texana di buona famiglia, adolescente inquieta, con un’indimenticabile voce graffiante. Dopo gli studi universitari condotti con esiti altalenanti, si trasferisce a San Francisco e diventa la vocalist della formazione californiana Big Brother and The Holding Company. 

Nel 1969 inizia la carriera solista accompagnata dalla Kozmic Blues Band, diventando uno dei simboli del rock al femminile e una sex symbol, grazie ad una sensualità selvaggia e debordante che si sostituisce ai mille complessi di un’adolescente in sovrappeso e deturpata dall’acne. Una vera hippie, emancipata e dissacrante, tra Peace & Love e impegno civile, con un’esistenza inquieta vissuta pericolosamente tra droga e alcol. Muore a soli 27 anni di overdose.
Da guardare: il documentario “Janis: Little Blue Girl” di Amy Berg, nel quale la cantante Cat Power racconta l’ascesa di Janis attraverso le lettere scritte a amici, famigliari e collaboratori.

“Sul palco faccio l’amore con venticinquemila persone; ma poi torno a casa da sola” Janis Joplin

PATTI SMITH, nome d’arte di Patricia Lee Smith- Classe 1946, cantante e poetessa rivoluzionaria e di grande carisma.
Da Chicago a New York esordisce a 28 anni e già nel 1975, con l’album “Horses” prodotto da John Cale, ottiene i primi riconoscimenti per la suggestiva potenza dei testi, la voce rabbiosa e febbrile e l’intensità del rock elettrico. Definita da molti (e a ragione) “la sacerdotessa maudit del rock“, sperimenta stili diversi spaziando dal rock’n’roll al punk alla nascente new wave e ispirandosi alla visionaria qualità poetica di grandi artisti come Jim Morrison e Bob Dylan ma anche a Kerouac e Allen Ginsberg. Oggi è una bella neo-settantenne che spesso bazzica nelle città italiane con i suoi reading e un forte impegno civile. A maggio sarà a Parma dove le verrà riconosciuta la laurea da honorem in Lettere Classiche e Moderne.
Da guardare: il documentario “Patti Smith: Dream of Life” di Steven Sebring.

“La musica è riconciliazione con Dio.” Patti Smith

Polly Jean Harvey, in arte PJ HARVEY, inglese classe 1969, cantautrice, poetessa e compositrice. Inizia la sua carriera nel 1988 quando diventa la vocalist, chitarrista e sassofonista del gruppo Automatic Dlamini, John Parish, frontman della band, diventerà poi il suo collaboratore. Nel 1991 PJ Harvey fonda un trio che dà ufficialmente inizio alla sua carriera professionale, il gruppo pubblica due studio albums, Dry (1992) e Rid of Me (1993), subito dopo Polly Jean comincia la sua carriera da solista. La sua musica è molto sperimentale, dal punk all’indie con qualche pizzico di folk e blues, ha avuto tante collaborazioni con diversi artisti tra cui John Parish, Rob Ellis, Mick Harvey e Eric Drew Feldman. La sua carriera solista è caratterizzata da ben nove dischi e tanti premi, la rivista Rolling Stone l’ha premiata come migliore cantautrice e artista emergente nel 1992 e nel 1995 diventa l’artista dell’anno inserendo i suoi album, Rid of Me, To Bring You My Love, Stories from the City e Stories from the Sea, tra i 500 migliori album di sempre.
Da leggere e sfogliare: il libro “The Hollow of the Hand”, il primo volume di poesie scritto da Polly Jean, frutto di un viaggio con l’amico fotografo Seamus Murphy in Kosovo, Afghanistan e Washington DC. Testo e immagini che dialogano tra loro per raccontare luci ed ombre del mondo contemporaneo. Lo trovate qui.

“Non detesto le interviste, sono solo una di quelle persone che scrive musica perché trova difficile parlare di sé.”  PJ Harvey

Myra Ellen Amos a.k.a. TORI AMOS, considerata dalla critica una delle più importanti figure femminili del rock anni 90, nella sua carriera ha venduto oltre 12 milioni di album. Americana
con radici indiane cherokee, cresce in una famiglia religiosa e comincia a suonare il piano a 2 anni, a 5 anni vince una borsa di studio per uno dei più prestigiosi conservatori d’America. Il conflitto tra la musica classica e l’educazione conservatrice della famiglia la portano alla ribellione e comincia a suonare al piano i pezzi dei suoi artisti preferiti come Jimi Hendrix, i Led Zeppelin, The Doors, Elton John ecc.; si esibisce nei pub e si trasferisce a Los Angeles per inseguire il successo, durante un concerto viene stuprata, una triste vicenda la segnerà per sempre. Muove i suoi primi passi con la Atlantic Records durante la fine degli anni ottanta, incide con il suo gruppo (dove faceva parte anche Matt Sorum, che diventerà poi batterista dei Guns’n Roses) Y Kant Tori Read, un album dalle sonorità hard rock che avrà poco successo e costringerà l’etichetta a mandare Tori in Regno Unito per piccole collaborazioni. La Amos troverà poi il successo nei primi anni novanta con gli album Little Earthquakes (1992) e Under the Pink (1994) e From the Choirgirl Hotel (1998).

“Come posso essere contemporaneamente una gran bella gnocca e una creatura di Dio?” Tori Amos

Joan Marie Larkin ovvero la mitica JOAN JETT, americana nata a Philadelphia, ha vissuto fino
 a 12 anni nel Maryland per poi trasferirsi a Los Angeles. Inizia a 15 anni fondando un gruppo di sole ragazze e cominciano ad esibirsi in zona. Vengono notate da Kim Fowley, noto produttore discografico, che diventa loro manager e diventano “The Runaways“, affermandosi nella scena punk rock di Los Angeles. La Jett realizzò tre album con le Runaways, senza ottenere un particolare successo negli Stati Uniti, ma divennero molto famose in Giappone, il gruppo si sciolse nel 1979. Dopo la fine delle Runaways, la Jett si trasferisce a New York e intraprende una carriera da solista cantando per lo più cover anni 50 e 60, la sua versione di I Love Rock’n Roll degli Arrows ottiene un gran successo. Da primi anni novanta comincia a diventare fonte d’ispirazione per ogni band al femminile della scena alternativa, in particolare la scena riot grrrl, e collabora con vari gruppi del movimento come le Bikini Kill e Babes in Toyland. Nei primi duemila torna sui suoi passi pubblicando l’album Sinner (2006), con suoni più rock’n roll.
Da guardare: il film “The Runaways” di Floria Sigismondi (2010) in cui Kristen Stewart interpreta Joan Jett.

“Le donne hanno le palle. È solo che le hanno un po’ più in alto, tutto qui.” Joan Jett

DEBBIE HARRY, americana classe 1945, leader indiscussa dei Blondie, un gruppo new wave
attivo dal 1974. Comincia a 20 anni la sua carriera frequentando la scena underground newyorkese, prima come corista e percussionista nel gruppo Wind the Willows, poi nelle Stilettoes facendo esibizioni cabaret con musica rock, precedendo l’avvento del punk newyorkese. Nelle Stilettoes conosce Chris Stein e assieme fondano i Blondie nel 1974, il gruppo diventa uno dei maggiori ospiti del CBGB, noto locale della scena newyorkese degli anni 70/80. La Harry diventa una delle icone più note della scena newyorkese, con tanto di servizi fotografici per Punk Magazine, assieme ai Blondie pubblicherà ben 10 album e conquistando il successo con le hit Call Me, Heart of Glass, Atomic, The Tide is High, Rapture e Maria. Collaborò con vari artisti e stilisti, come Andy Warhol, Stephen Sprouse e William Gibson, ha anche fatto l’attrice esibendosi in alcuni film rifiutando di interpretare la parte della bambola bionda, ma accettando di esibirsi nei panni di personaggi sgradevoli.
Da guardare: il film “Videodrome” di David Cronenberg in cui Debbie Harry interpreta la protagonista Nicki Brand guadagnandosi fama di icona sexy del cinema.

“Il rock non ha niente di ribelle. Niente di eccitante. E si guarda bene dall’essere rivoluzionario. È perfettamente accettato ovunque. È tutta una commedia” Debbie Harry

SIOUXSIE SIOUX, ai secoli Susan Janet Ballion, inglese classe 1957 una delle esponenti del punk britannico anni 70/80. Muove i primi passi nella scena alternativa inglese seguendo assiduamente i Sex Pistols nel 1976, si fa notare nei locali londinesi con il suo abbigliamento eccentrico fetish, che diventerà poi quello ufficiale punk. Nel 1977 fonda il gruppo Siouxsie and the Banshees e girano l’Inghilterra esibendosi, l’anno dopo il singolo Hong Kong Garden raggiunge la settima posizione della classifica britannica. Le Siouxsie and the Banshees pubblicano ben 11 album e rimangono attive fino al 1996, nel frattempo Siouxsie, nel 1981, fonda The Creatures, un duo voce-batteria con cui registra quattro album. Ha fatto varie collaborazioni con alcuni artisti tra cui Morrisey e All Music l’ha incoronata come una delle cantanti britanniche più influenti dell’era rock. Le sue canzoni sono state cantate da artisti come Tricky, Jeff Buckley e LCD Soundsystem.

“Non mi piace l’idea di essere un modello, una divisa per gli altri. La gente ci seguiva perché distruggevamo le regole. Hendrix, Morrison negli anni ’60 “sperimentavano” qualcosa che veniva chiamato droga, ma era una ribellione reale. Tutta la faccenda rock’n’roll uguale droga è diventata noiosa e prevedibile, oltre che una perdita di energia. Adesso si parla di Amy Winehouse perché alimenta il pettegolezzo più becero e fa vendere i tabloid” Siouxsie Sioux

Dite che in futuro ci saranno donne di questo calibro nella musica? Chissà….lo scopriremo solo vivendo!

 

(ndr- post scritto a quattro mani da due ragazze ribelli appassionate di musica al femminile, Chiara e Monà)

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