Dichiarazione di autenticità di un cantautore.

Intervista a Maurizio Mangoni, "il geometra della musica"

“Il geometra Mangoni” è il nome del progetto solista di Maurizio Mangoni, artista toscano già voce e chitarra nei Muriél, che si cimenta ora in un percorso solista in italiano, con ritmiche elettroniche che riportano alle sonorità dell’indie Nord Europeo.

Maurizio Mangoni non è soltanto un musicista e un cantante che sta riuscendo a farsi notare, ma è anche autore: nel 2013 scrive un testo indirizzato alla band lombarda “Ariadineve” intitolato “Il tempo di un’idea”, che viene mandato in rotazione su varie radio durante l’anno di pubblicazione. Vincitore dell’1M Next2016, contest dedicato alle nuove proposte del concerto del primo maggio a Roma, già nel 2015 ha pubblicato il suo album di esordio L’anticiclone delle Azzorre (con la casa discografica Qui Base Luna), promosso a pieni voti da buona parte della critica.

Un genere, il suo, tutto immerso in atmosfere tra lo psichedelico e lo sperimentale, senza trascurare una attentissima cura del testo che lo rende il mix perfetto tra musica e parole.

Quando hai capito di voler fare musica?geometra-mangoni-musica-indie

Ormai sono molti anni che è successo, ed è stato un avvicinamento non dovuto a spinte esterne o a motivazioni “familiari”. Ho cominciato studiando il sax nella scuola della banda musicale del mio paese e poi da lì è iniziato il percorso che mi ha portato ad apprezzare il fare musica sotto un aspetto cantautorale.

Come mai, per il tuo progetto solista hai scelto di definirti ‘geometra’? Dipende solo dai tuoi studi o si tratta di una provocazione?

Il nome molto semplicemente rispecchia quello che è il mio percorso di formazione e il mio ambito lavorativo. La “provocazione”, in un certo senso c’è perché – a differenza di quello che spesso succede nell’ambito “artistico” – io volevo fare, fin dal nome, una dichiarazione di autenticità: questo sono veramente io. E provo a raccontare quelle dinamiche quotidiane che un geometra, inserito in questo vortice giornaliero, riesce a notare.

Nel 2015 hai pubblicato il tuo disco d’esordio ‘L’anticiclone delle Azzorre’. Qual è la tua canzone preferita dell’album o quale quella che ami di più suonare live?

Per chi le ha anche scritte, definire “la” canzone preferita è sempre difficile. Su due piedi direi: “È tutto qui”, perché alla fine potrebbe essere veramente un brano generazionale ed è un brano con un finale stile “dirigibile”, come piacciono a me. Poi, è vero che anche io, come tanti, penso che “la canzone più bella è sempre quella che sto scrivendo sul momento”. Ma questo, a essere davvero onesti e anche un po’ severi con sé stessi, non è sempre vero. E infatti ci soffro quando, magari dopo qualche giorno, mi rendo conto che non lo è affatto.

Ma parlando di Live, i tuoi hanno una peculiarità per nulla banale, quella della realtà aumentata. Di che si tratta?

Con l’aiuto di Tommaso Rosati che insieme a Fabio Mazzei alla batteria fa parte del gruppo, abbiamo iniziato già da un po’ a utilizzare strumenti che modulano il suono con il movimento. Per essere precisi, Tommaso sviluppa gli strumenti elettronici e io poi li indosso cercando di sfruttarne le potenzialità. Per esempio insieme a Noah Guitar, ormai da anni, stanno portando avanti questo progetto di chitarra aumentata che in diversi concerti ho utilizzato.

Nel 2016 hai vinto l’1MNext il contest del Primo Maggio Roma che premia gli artisti emergenti e porta i migliori sul palco di Piazza San Giovanni. Cosa si prova a salire su quel palco, davanti a quel pubblico?

geometra-mangoni-musica-indiePer me è stata senza dubbio un’esperienza fuori dalla normalità: ho avuto la prova che le cose se veramente si cercano possono accadere. Una sensazione del genere mi era capitata un’altra volta, molti anni fa, in occasione di un torneo di ping-pong in una vacanza ormai lontana. Non ero il più forte, non ero il favorito eppure riuscii a vincere il torneo. Anche se forse, nel 2016, la mia “Un altro inverno” era migliore come canzone di quanto fossi bravo come giocatore di tennis tavolo.

Cosa pensi della ritrovata popolarità dell’indie italiano in questo momento? Credi che internet e i social abbiano avuto un ruolo importante?

Quando parliamo di “indie italiano”, francamente ci mettiamo dentro tutto. Ma esattamente di cosa stiamo parlando? Cantautori che magari fanno anche un bel lavoro di ricerca sui testi in italiano? Gruppi shoegaze che cantano in inglese? Successi dell’estate che un tempo sarebbero stati bollati come “mediocre cantautorato pop” dagli stessi critici che adesso le esaltano? Sicuramente c’è un buon fermento in questo momento, in cui, se uno si mette a cercare, trova roba interessante. Però, alla fine, per fare le canzoni e i “dischi”, purtroppo non bastano solo le idee e l’ispirazione ma ci vogliono anche delle risorse economiche. E in questo senso Internet ha facilitato molto il processo di distribuzione e anche quello di promozione: abbiamo una maggiore semplicità nella diffusione, nel trovare un album o una canzone che ci piace. Il rovescio della medaglia è che ciò ha reso i nostri ascolti distratti: tendiamo ad ascoltare la musica in modo più nervoso e meno attento di quanto si facesse un tempo. E te ne accorgi per esempio ai concerti, anche di artisti bravi e importanti, dove la gente chiacchiera o chatta con il telefono, nonostante sia andata lì appositamente. La velocità di Internet, in questo senso, ci ha un po’ rovinato. Anche se non voglio fare generalizzazioni.

Quali sono gli artisti che in un certo senso hanno influenzato la tua musica? In una giornata tipo, cosa ti piace ascoltare?

Gli artisti che mi hanno influenzato sono tanti e diversi. Ricordo con affetto un disco del 1999 del Soulwax intitolato “Much against everyone’s advice” che in qualche modo mi fece capire che anche un sound definito rock poteva abbracciare una sfera più dance ed elettronica. E poi ci sono stati i Deus, The Notwist, Lali Puna, Apparat, Moderat, Efterklang, Beirut, ma anche tutta la scena italiana che passa da Bruno Lauzi, dal Lucio Dalla ispirato di metà anni Settanta / primissimi Ottanta, Battiato, Riccardo Sinigallia con il suo percorso molto articolato e particolare, fino ad arrivare ad altri artisti più giovani.

In una giornata tipo ascolto molta radio, ma principalmente “Radio 24” paradossalmente proprio perché di musica non ne viene trasmessa. Poi, chiaramente, ascolto anche molta musica: non ho una playlist tipo e la scelta è affidata spesso al momento, al fatto che è uscito da poco un album che mi interessa, o anche al caso. Però cerco di ascoltare solo qualcosa che mi coinvolga, che mi tocchi. Il sottofondo mi interessa meno.

Il 15 settembre è stata pubblicata la riedizione del primo album di Cristina Donà, “Tregua”, in occasione del ventennale. Tra i dieci artisti emergenti che hanno partecipato al progetto, ci sei anche tu. Come è nata questa collaborazione? Ti ha portato a conoscere artisti interessanti?

È nata si può dire nel modo più semplice: un giorno di gennaio sono stato chiamato dal manager di Cristina Donà che mi chiese se avevo voglia di partecipare a questo progetto “Tregua 1997-2017 Stelle buone” perché Cristina aveva sentito alcuni miei brani e mi aveva scelto per questo disco. Ovviamente ho accettato subito con grande entusiasmo: “Tregua” è (stato) un disco importantissimo per la musica italiana, uscito in un anno che possiamo definire davvero “di grazia” per quello che allora veniva etichettato come rock alternativo italiano. Insieme all’entusiasmo però, sono arrivate anche le ansie: misurarsi con l’opera di un’artista bravissima, vuol dire anche non sentirsi all’altezza. Ci ho messo molto tempo ad individuare quale brano fosse più adatto a una mia rilettura e anche molte energie, per trovare la mia chiave della canzone “Ogni sera” in cui al tempo stesso potessi mettere qualcosa de Il geometra Mangoni senza andare a rovinare il lavoro di Cristina Donà. Ovviamente questo poi è avvenuto anche grazie al lavoro di Tommaso Rosati, e di Giuseppe Fiori al basso.

Per quanto riguarda le scoperte, questo lavoro mi ha portato ad apprezzare ancora di più alcuni gruppi che già conoscevo, anzitutto “La Rappresentante di Lista”. Sono anni che seguo i loro lavori — anche se purtroppo non li conosco di persona — e a mio parere sono una realtà significativa della nostra musica. Per tornare al discorso di prima sul’indie italiano, qualunque cosa significhi l’espressione, per me loro sono attualmente una delle migliori band italiane. Poi, ascoltando per intero “Tregua 1997-2017 Stelle buone”, ho avuto modo di scoprire Birthh e devo dire che mi è piaciuta molto.

Che progetti hai in mente per il futuro? Stai già lavorando a qualcosa di nuovo?

In questi ultimi anni fatto le mie riflessioni, ho avuto i miei ripensamenti e ho comunque capito una cosa: sicuramente mi piace scrivere canzoni; e questo a prescindere da chi poi le potrebbe cantare. Per ora mi godo questo momento di incertezza, con l’idea però di verticalizzare verso un nuovo album che non è imminente ma non sarebbe poi nemmeno troppo lontano.

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