D. Milez: "Dal cortile della scuola a Parigi, il mio hip hop vecchia scuola"

D. Milez: “Dai cortili a Parigi, il mio hip hop vecchia scuola”

L’hip hop inizia dalla strada. Se cercate l’incarnazione vivente di questa frase, Daniele Delmiglio, in arte D. Milez, è la persona giusta. Venticinque anni e già dieci di musica alle spalle, un passato da freestyler, un presente con l’etichetta indipendente Rusty Records e, nel mezzo, tanta gavetta e soddisfazioni conquistate con le unghie e con i denti, ci racconta la storia di una passione nata da giovanissimo e al centro della sua vita fin dall’adolescenza. 

 

  1. Quando e perché hai iniziato a fare rap?

Sono cresciuto con i riferimenti della mia generazione, a pane e Articolo 31, Club Dogo, Snoop Dog, Eminem e 2Pac. Durante le superiori, verso i 15 – 16 anni, mi sono appassionato all’hip hop americano. In un secondo momento ho scoperto su internet che anche in Italia esistono le battle freestyle ed è stato un colpo di fulmine. Ho iniziato a scuola e ho continuato per tre o quattro anni, poi sono passato a registrare in studio.

  1. Sei passato da essere un freestyler a scrivere testi. Come mai?

Quando ho cominciato non ci pensavo nemmeno a mettere le rime nero su bianco. Preferivo partecipare a contest, uno l’ho anche vinto. Poi ho conosciuto un altro musicista che mi ha portato in studio. Ho pensato “Perché no?” e, inaspettatamente, è stato amore. Piano piano l’arte del freestyle ha cominciato a svanire e adesso per me è solo svago. Si tratta di un percorso molto frequente, si passa da un genere molto piatto con le metriche ad un altro che necessita uno studio più approfondito, cambia l’approccio.

  1. Nel 2014 hai partecipato al primo featuring internazionale con l’artista parigino “Maestro Moke” con la canzone “Armi pari”. Parlami del progetto.

È stata una grande soddisfazione, per cui devo dire grazie a Matteo Merigo, un carissimo amico conosciuto quando facevo freestyle che negli anni successivi mi ha fatto da manager, proponendomi sempre progetti importanti. Maestro Moke è un artista parigino che stava cominciando a sfondare nell’underground francese, insieme abbiamo creato “Armi pari”, una canzone strumentale con ritornello in italiano. Al centro, la denuncia sociale: lui ha parlato del razzismo in Francia, io della fuga di cervelli dall’Italia, un tema che non avevo mai affrontato.

  1. Esiste un messaggio che vuoi trasmettere con le tue canzoni?

Inizialmente no, facevo musica solo per me stesso, per divertirmi. Adesso, invece, cerco di raccontare quello che ho attorno, di creare un collegamento con i giovani di strada, ormai orfani dei luoghi di aggregazione in cui è cresciuta la mia generazione, come ad esempio l’oratorio. Le mie canzoni sono cresciute con me e parlano del diventare grandi, con messaggi mai espliciti ma sempre tra le righe.

  1. La scena rap italiana non cessa di far parlare di sé. Qual è la tua opinione a riguardo?

Fino a qualche anno fa essere rapper significa rassegnarsi alla condizione di perpetuo emergente, adesso la scena si è risollevata ed è possibile farsi notare. Chi ascolta è più attento e curioso e grazie ai social per noi è molto più facile farci conoscere.

  1. Tu sei partito dalla strada. Sei convinto che sia un percorso necesario? Qual è la tua idea sulla deriva commerciale di rap e hip hop?

Dire che un rapper non può passare dai talent sarebbe ipocrita, perché tutti hanno il diritto di provare ad avere successo con i mezzi che preferiscono. È vero, la cultura hip hop nasce dalla strada, ma del resto mio nonno andava in giro in bici: i tempi cambiano. Io qualche provino a X Factor l’ho anche fatto e c’è dire che manca un po’ di trasparenza, perché le major spesso mandano qualche artista già avviato per lanciarlo definitivamente. Si tratta pur sempre di tv, con tutti i suoi limiti.

  1. Fedex e J-Ax sono spesso al centro delle polemiche. Tu che cosa ne pensi?

Grazie a J-Ax ho iniziato a fare musica, non posso che amarlo. Fedez lo ascoltavo prima che diventasse noto al grande pubblico, adesso fa pop ed è uscito dai miei radar. La mia opinione? Sono arrivati in alto grazie alle loro idee, facendo quello che riesce loro meglio. Le critiche lasciano il tempo che trovano, io posso provare solo rispetto.

8. Come vedi il tuo futuro?

Andare avanti e continuare a produrre è difficile. Sono contento di aver raggiunto qualche bel traguardo, ora ho bisogno di uno sponsor e di un po’ di fortuna. Quello che è certo è che continuerò a fare del mio meglio.

 

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